"È grave essere diversi?"
"È grave sforzarsi di essere uguali: provoca nevrosi, psicosi, paranoie. È grave voler essere uguali, perché questo significa forzare la natura, significa andare contro le leggi di Dio che, in tutti i boschi e le foreste del mondo non ha creato una sola foglia identica a un'altra."
- Paulo Coelho, Veronica decide di Morire -
22 agosto: nella pagina della cronaca cittadina il quotidiano Il tirreno
ha pubblicato un articolo
con affermazioni che non condividiamo:
«Vanno chiuse le porte di psichiatria»
Al San Jacopo come a Pescia, ma il sindacato denuncia:
«Impossibile prevenire tutti i rischi, e il personale è poco»
PISTOIA. «Non dotare un reparto di psichiatria della possibilità di poter chiudere le porte di accesso dall'interno implica rinunciare alla possibilità di impedire ad uno psicotico acuto, ad un agitato, ad un confuso, ad un ubriaco di uscirsene indisturbato per poi, magari, finire sotto le ruote di un camion sulla vicina tangenziale: non crediamo che i parenti di questo (non troppo) ipotetico assistito sarebbero molto felici di vedersi rimandare il congiunto a casa in una bara proprio da parte di coloro ai quali l'avevano affidato fiduciosamente».
È contraria, l’Intersindacale medica, al progetto che l’ASL£3 ha voluto ripetere, sulla base di quanto avviene all’ospedale di Pescia dal 2005, nel reparto di psichiatria del nuovo ospedale. Si chiama “Porte aperte” e vuole caratterizzare la gestione del degente nel più totale rispetto della persona. Un atteggiamento «degno di nota e di plauso nella forma, molto meno condivisibile nella sostanza quando venga a coincidere con quella velleitaria volontà della psichiatria cosidetta democratica di valide cure psicofarmacologiche, e del necessario contenimento della instabilità mentale e del danno (per sé e per gli altri) che possa derivarne».
In pratica, sottolinea l’Intersindacale, «si arriva a pensare che un reparto con porte chiudibili si configuri come una prigione gestita non da medici ma da aguzzini che tutto hanno a cuore meno la salvaguardia della persona. Ma la legge obbliga gli psichiatri a una posizione di garanzia che impone loro sia la cura che la custodia, e la pratica quotidiana mette a confronto con situazioni cliniche caratterizzate da urgenze gravi».
Fa un esempio Marica Benvenuti: «Alcuni mesi fa mi hanno chiamata a Pescia per una consulenza a psichiatria. La porta è aperta, si suona per prassi e si può entrare.
Fatti due passi mi sono imbattuta in due infermiere e un Oss dietro la porta, con un paziente in un letto posizionato proprio dietro la porta. A bloccare l’uscita. E gli stavano facendo una flebo».
Il nuovo reparto del San Jacopo è dotato di tre aperture su altrettanti percorsi pubblici. «Le porte sono apribili tramite maniglioni antipanico, con possibilità di accesso all’esterno (al Ceppo le porte erano dotate di dispositivo di chiusura elettrica gestita dal personale). Il reparto ha 9 posti letto e si trova di fatto «in condizioni di mancata sicurezza. Ci sono solo due infermieri che, all’occorrenza, potrebbero avere l’aiuto di un terzo proveniente dalla sede distaccata del Centro di salute mentale». Una situazione «non compatibile con la legge e non sostenibile in senso medico-legale».
Tiziana Gori
Segue un paragrafo con lamentele dei medici circa la reperibilità.
Il 23 agosto Il tirreno ha pubblicato la replica dell'ASL3:
«A psichiatria pazienti uguali agli altri»
PISTOIA. L’Asl con un lungo comunicato fa sapere perchè le porte di psichiatria devono restare aperte.
«I due Servizi psichiatrici di diagnosi e cura del Dipartimento di Salute mentale di Pistoia (Pistoia e Pescia) – scrive l’Asl – applicano entrambi protocolli operativi per le “porte aperte”.
Questi sono condivisi nelle due équipe professionali, e prevedono che in determinati casi, e comunque a giudizio del medico e degli operatori presenti in servizio, le porte possano venire chiuse per il tempo ritenuto necessario a superare la criticità emergente è comunque sempre presente un sistema di allarme acustico che si attiva all’apertura delle porte.
Nel nostro articolo, secondo l’Asl «l’Intersindacale medica, purtroppo, non sembra limitarsi all’evidenziazione di un problema tecnico (che ad oggi è stato adeguatamente affrontato), ma pone un problema più ampio, ovvero la necessità di “chiudere le porte” sempre e comunque. Gli argomenti a supporto di questa proposta sembrano francamente ispirati ad una psichiatria ormai da tempo superata, richiamando idee quali la pericolosità “per sé e per gli altri” dei pazienti psichiatrici, ed enfatizzando una visione custodialistica e di controllo sociale del Servizio di Prevenzione Diagnosi e Cura.
«L’apertura delle porte – scrive l’Asl – ha significati rilevanti e ormai ampiamente accettati nella comunità scientifica: il paziente psichiatrico è un paziente come gli altri: la sua degenza in un reparto ospedaliero (che il legislatore ha proprio in questo senso voluto ubicato negli ospedali generali) non va intesa, nella stragrande maggioranza dei casi e dove non sia prevista la necessità di un Trattamento Sanitario Obbligatorio, come una sospensione dei suoi diritti né come una esperienza di segregazione. Il regime di volontarietà della cura implica che il paziente possa anche “decidere” di allontanarsi dal reparto e il fatto, in questo reparto, può essere comunque immediatamente segnalato acusticamente. È anche possibile concordare con gli operatori di riferimento le dimissioni. La degenza a “porte aperte” esprime e sottolinea, per il paziente e per i suoi familiari, le dimensioni di dignità e di umanità necessarie per la cura “anche” della fase acuta della malattia. La “posizione di garanzia” a cui l’intersindacale medica fa riferimento non può essere intesa come sostegno e legittimazione di atti di segregazione; la posizione di garanzia impone semplicemente, a medici ed operatori ( della salute mentale così come di ogni altro settore medico), una forte assunzione di responsabilità verso il paziente (sia nelle fasi critiche che nella quotidianità terapeutica), che si declina in una presa in carico forte ed attenta ai bisogni di cura.
«Anche per quanto riguarda il tema della reperibilitá e della mancanza del rispetto di norme contrattuali nell'articolo vengono riportate inesattezze: in Toscana infatti esistono altri SPDC che hanno la reperibilitá notturna, almeno altri 3 ospedali 1 ad Arezzo e 2 a Firenze, senza contare i nostri 2 nell'ASL di Pistoia ; inoltre è necessario precisare che Il medico psichiatra di guardia al Centro di Salute Mentale durante i giorni festivi e prefestivi non è contemporaneamente in pronta disponibilità : il medico è solo medico di guardia e presta servizio e può essere chiamato ad intervenire, analogamente ad altri servizi( 118 ,guardia medica etc ), in diverse sedi sia presso lo stesso CSM come presso il SPDC in Ospedale o nel territorio o al domicilio del paziente».
Le associazioni per la salute mentale della provincia di Pistoia hanno inviato la loro replica:
Porte aperte in psichiatria
La polemica sulle “porte aperte” del nuovo ospedale psichiatrico è pretestuosa perché tutti gli operatori sanno che è già stato concordato che entro ottobre le porte verranno modificate in modo da permettere al medico responsabile del reparto di poterle chiudere momentaneamente all’occorrenza. Nel frattempo i casi complicati verranno accolti nel reparto dell’Ospedale di Pescia, come è già avvenuto a Ferragosto. A Pescia in sei anni di porte aperte non è mai successo niente! Temiamo, però, che l’articolo apparso giovedì su questo giornale sia frutto della volontà dei firmatari di tenere le porte sempre chiuse per tutelare non la sicurezza dei pazienti ma per continuare a non prendersi le proprie responsabilità nella cura delle persone.
Il concetto della pericolosità è ormai confutato da dati nazionali e internazionali: le persone con problemi psichici non sono più pericolose degli altri cittadini, anzi, spesso subiscono ingiustizie senza reagire. Hanno diritto ad essere curati e ad essere sostenuti in un percorso di guarigione che li porti a poter vivere una vita dignitosa. Questo è previsto dalle nostre leggi nazionali e regionali e i risultati sono incoraggianti laddove gli operatori non accettano la cronicità e partono dal rispetto della persona, fanno un monitoraggio attento dei farmaci, si informano sulle buone pratiche e si formano continuamente sulle modalità per potenziare le abilità psicosociali.
È necessario, però, che gli operatori della psichiatria non siano lasciati soli. Anche gli altri attori sociali devono fare la propria parte: le direzioni delle ASL devono spendere oculatamente tutto quanto previsto per la salute mentale (quella pistoiese non l’ha mai fatto dalla chiusura delle Ville Sbertoli nel 1999); i comuni devono dedicare maggiore attenzione all’integrazione sociale e la provincia deve facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro, fatto che a Pistoia aveva subito una battuta d’arresto ma che ora sta riprendendo.
Non sarebbe più gratificante per questi medici contribuire a migliorare il percorso verso la salute piuttosto che assumere il ruolo di garanti della custodia delle persone che dovrebbero avere in cura?
A Pistoia sono ancora troppo pochi i medici che lavorano in questa direzione -ma ci sono- ed è a loro che facciamo appello: non lasciate che “l’intersindacale medica” vi rappresenti! Ci appelliamo anche ai sindacati: come è possibile che a livello nazionale si affermino certi principi e a livello locale li si neghino?
A tutti diciamo: non c’è più bisogno di porte chiuse ma di cervelli e di cuori aperti e saremo tutti consapevolmente più liberi e con maggiori garanzie di cure se un problema di salute mentale dovesse capitare a noi o a qualcuno della nostra famiglia!
Kira Pellegrini, vicepresidente del Coordinamento Toscano delle Associazioni per la salute mentale, in rappresentanza di Oltre l’Orizzonte, Solidarietà e Rinnovamento, Bella Mente, La Giostra, Albatros e Rosa Spina, associazioni della salute mentale della provincia di Pistoia
Il dott. Galileo Guidi ha precisato:
L'intervento di Tiziana Gori, per conto della Intersindacale medici, apparso sul Tirreno il 22 agosto “Vanno chiuse le porte in psichiatria”, ha suscitato un serrato dibattito. Il tema del confronto è particolarmente importante e mi spinge a partecipare con alcune considerazioni. Infatti negli ultimi anni delle mia vita lavorativa mi sono occupato a livello regionale e nazionale di temi riguardanti l'organizzazione dei servizi di salute mentale. L'Organizzazione Mondiale della Sanità più volte si è dedicata al problema della salute mentale e in una dichiarazione del 2010 (l' OMS non la psichiatria cosiddetta democratica) ha affermato che per una buona riuscita del percorso terapeutico riabilitativo “il punto fondamentale è la rimozione delle barriere formali ed informali e la trasformazione dei rapporti di forza tra individui, comunità e servizi”.
In questa logica mi chiedo perchè le porte del servizio di diagnosi e cura devono essere tenute sempre chiuse, quando questo non avviene per gli altri reparti ospedalieri?I dati dimostrano con evidenza che solo una piccolissima parte dei ricoveri in SPDC sono trattamenti sanitari obbligatori; nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di ricoveri volontari, non esiste motivo per cui le porte debbano stare sempre chiuse e non solo quando se ne presenta la reale e giustificata necessità.
Nel giugno del 2013 Claudio Mecacci, presidente della società italiana di psichiatria, ha pubblicato un interessante articolo con il titolo “Violenza sociale e pregiudizi”. Riferisce di uno studio compiuto in Italia tra tutte le persone che hanno compiuto atti violenti e omicidi. Da questo risulta che solo il 5% è stato dichiarato affetto da patologia mentale. Il restante 95% è stato dichiarato capace di intendere e di volere. A conclusione del suo lavoro Mecacci afferma:” attribuire automaticamente gli atti di violenza a persone con disturbi mentali porta ancora di più a stigmatizzare queste patologie e le persone che realmente ne soffrono e che si stanno curando. Aumentare la vergogna porta invece all'allontanamento di tutti questi soggetti che potrebbero trarne beneficio”.
Lavorare con le persone affette da patologie psichiatriche è difficile e richiede l'impegno massimo di tutti i professionisti che debbono utilizzare il metodo della interdisciplinarità, oggi più di qualche anno fa le agenzie internazionali e nazionali raccomandano che le diverse professionalità presenti nei servizi (medici, psicologi, infermieri, educatori, oss.) lavorino insieme in modo che le risorse disponibili vengano utilizzate al meglio. Questo è importante ma non sufficiente; infatti le risposte ai bisogni delle persone con disturbi mentali non si esauriscono nei servizi sanitari, in queste patologie è la comunità intera che deve esprimere il massimo impegno.
Vorrei ricordare come nelle Linee di Indirizzo Nazionali per la Salute Mentale approvate dal governo Prodi il 21/2/2008 con la piena condivisione di tutte la Regioni si proponeva che ogni azienda sanitaria si dotasse di un Piano di Azione Locale per la Salute Mentale elaborato con il metodo della concertazione con le istituzioni presenti sul territorio: province (fin quando ci saranno), comuni, associazioni dei familiari e degli utenti, organizzazioni del mondo del lavoro e sindacali, volontariato e organizzazioni culturali e ricreative. Il Piano Locale, partendo dalle indicazioni internazionali nazionali e regionali, dovrebbe valorizzare le specificità locali indicando le priorità e le modalità per realizzarle.
Perchè a Pistoia non si riprende questa idea? Conoscendo le potenzialità dei soggetti coinvolti, ritengo che ci possano essere le condizioni migliori per provare a realizzarla.
Galileo Guidi già coordinatore della commissione regionale governo clinico in salute mentale e membro della commissione nazionale interregionale per la salute mentale
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