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Oltre l'Orizzonte

Associazione per la promozione del benessere psichico

"È grave essere diversi?"
"È grave sforzarsi di essere uguali: provoca nevrosi, psicosi, paranoie. È grave voler essere uguali, perché questo significa forzare la natura, significa andare contro le leggi di Dio che, in tutti i boschi e le foreste del mondo non ha creato una sola foglia identica a un'altra."
- Paulo Coelho, Veronica decide di Morire -

Nel campo della psichiatria si sta scardinando il concetto di inguaribilità e affermando quello di “guarigione sociale”, con la convinzione che tutti possono migliorare la qualità della propria vita.  Per garantire questo per tutti i sofferenti psichici è necessario un cambiamento radicale in tutti i soggetti: i sofferenti stessi e i loro familiari, gli operatori  della psichiatria e quelli del sociale, i dirigenti aziendali, comunali e regionali. Contemporaneamente, deve cambiare l’opinione pubblica e tutto il mondo dell’informazione: non più diffidenza, paura e segregazione, ma inclusione. Sarà un’ operazione culturale lenta e concatenata a tutti gli altri cambiamenti.

Questa è la sfida: ma chi e che cosa deve cambiare?

Il sofferente psichico

Non possiamo che partire dalla persona che sta male. Deve arrivare alla consapevolezza del suo malessere e alla convinzione che, per poter stare meglio, deve cambiare qualcosa in se stessa. C’è chi ha il diabete e chi è cardiopatico  e c’è chi ha disturbi psichici, un cittadino che ha gli stessi diritti degli altri: che la sua malattia sia curata e che, se ne ha bisogno, sia accompagnato in un percorso riabilitativo verso l’inclusione sociale. Ha diritto di sapere perché quei farmaci e deve poter discutere degli effetti collaterali. Ha diritto ad un progetto personalizzato che prenda in considerazione tutte le sue fragilità ma che lo guidi anche nella scoperta delle proprie risorse. Ha diritto di valutare periodicamente insieme agli operatori l’andamento del proprio progetto, che ha costruito insieme a loro. Però, ha anche dei doveri: deve impegnarsi nella realizzazione degli obiettivi condivisi con gli operatori che lo sosterranno. Deve accettare le “ricadute” come parte della vita, non solo della malattia, sicuro di potersi risollevare.

E i familiari? 

Spesso siamo proprio noi familiari che non abbiamo fiducia nelle possibilità di recupero dei nostri cari e tendiamo o a proteggerli eccessivamente o a rifiutarli. Anche noi dobbiamo CAMBIARE  - con ascolto, riflessione, accettazione ed empatia ma anche fermezza e determinazione. Dobbiamo riunirci in associazioni per essere informati e dobbiamo impegnarci nella difesa dei diritti di tutti, perché solo così potremo spingere verso il cambiamento.

E gli operatori del servizio?

 Per tutti gli operatori è irrinunciabile la formazione alla relazione d’aiuto e al lavoro in èquipe. Il concetto di “lavoro di èquipe” rappresenta un cambiamento radicale. Quando mal interpretato dai professionisti provoca arroccamento e difesa del proprio ruolo, ma quando ne viene recepito lo spirito questo concetto valorizza la specificità professionale di ognuno, riduce la responsabilità del singolo e risponde all’esigenza del paziente di essere considerato persona, fatta di fisico e di psiche, di bisogni e di risorse complessi che più professionalità possono capire, valorizzare e sostenere. Le verifiche devono diventare occasioni per tutti- operatori, pazienti e familiari- per apprezzare i buoni risultati e apportare modifiche laddove necessario.

E le responsabilità degli amministratori locali?

Dal 1978 le normative nazionali e regionali non considerano più la malattia mentale un compito esclusivo della medicina e individuano nell’integrazione socio-sanitaria uno strumento anche per la salute mentale. Ma, affinché le leggi abbiano  applicazione concreta, anche la politica degli enti locali deve CAMBIARE. Devono  contribuire a creare le condizioni che facilitino l’autonomia abitativa e lavorativa. Questo è possibile anche in situazioni di ristrettezze economiche: dirigenti e amministratori devono sviluppare maggiori capacità progettuali e operative, promuovendo anche sinergie fra pubblico e privato. È però irrinunciabile la progettualità condivisa anche fra enti diversi. E questo chiama in causa la politica e  i dirigenti di alto livello perché i progetti individuali non possono che far parte di una progettualità più ampia, CHE VEDA I PROBLEMI NEL LORO INSIEME, e che includa i servizi per la salute mentale  come soluzione per le persone, smettendo di considerarli solo malati.

E la Regione?

Deve smettere di enunciare soltanto principi, formulare obiettivi generici e permettere tanta discrezionalità nell’applicazione “delle linee guida”. Deve introdurre strumenti stringenti di valutazione, come la concessione di risorse e di incentivi legati a chiari indicatori di efficacia. Deve cambiare la formazione non solo degli psichiatri ma di tutti gli operatori socio-sanitari: non solo farmaci ma potenziamento delle capacità relazionali e lavoro in equipe con tirocini sul territorio.

E i mass media?

Basta con la spettacolarizzazione dei casi estremi eclatanti: i crimini commessi da persone con problemi psichici seguite e curate sono pochissimi. Si deve informare di più, anche sulle buone pratiche di cui ci sono molti esempi anche a Pistoia.

E i comuni cittadini?

Dedichiamo più tempo alle relazioni interpersonali, all’ascolto dell’altro, non denigriamo chi parla in modo diverso, si veste in modo non convenzionale, alza un po’ troppo la voce o parla troppo poco. Non ci fermiamo alle apparenze; meno diffidenza e più accoglienza. Il pregiudizio fa male a chi ne è oggetto ma incatena anche noi. Liberarcene ci farà sentire più leggeri e ci arricchirà.

 Certo, i massimi sistemi vanno al di là delle nostre capacità decisionali ma che questo non sia un alibi: partiamo da ciò che possiamo fare noi stessi perché un sassolino gettato nello stagno provoca un cambiamento che agisce su tutto l’ambiente. E questo cambiamento farà stare meglio tutta la comunità, diminuendo anche i costi economici.

 

Non c’è salute senza salute mentale

 

 

 

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